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Questo è il logo del Guardian’s Office, GO, nome che i servizi segreti di Scientology avevano al tempo di Paulette Cooper. Poi è stato cambiato in OSA, Office of Special Affairs.

PAULETTE COOPER

Si consiglia di allacciarsi le cinture perchè la storia di Paulette Cooper che sentirete dalla sua viva voce, è inaudita, agghiacciante, terrificante, mostruosa, sadica e delinquenziale. Se ne sconsiglia per tanto l’ascolto alle persone sensibili.

Paulette Cooper è una brava giornalista che, dopo aver scritto un libro “Lo scandalo di Scientology”, fu attaccata dal più feroce dei “Fair Game” (Bersaglio Libero) della storia di Scientology il cui obbiettivo da parte dei suoi servizi segreti, chiamati a quel tempo “Guardian Office” GO, era quello di a) o mandarla in galera b) o in una struttura psichiatrica da qui il nome “Operazione Freakout“.

Il feroce “Fair Game” di Scientology non si è mai fermato e continua tutt’oggi contro tutti coloro che vengono percepiti come nemici, malgrado Scientology afferma in una direttiva che il fair Game è stato cancellato, ma è una BUGIA, io ho le prove di quanto è stato usato su di me e mio marito Claudio dal 7 dicembre 2010 fino ad ora, SOLO per aver dichiarato pubblicamente la nostra uscita dalle organizzazioni di Scientology. Ci sono dei video girati da noi dove mostriamo solo una parte del Fair Game che Scientology ha usato su di noi illegalmente e pesantemente con tattiche mafiose-terroristiche.

L’attrice americana Leah Remini, in uno dei suoi molteplici programmi dove denuncia gli efferati abusi di Scientology per mano di Miscavige&CO, non poteva omettere di parlare anche della storia incredibile di Paulette Cooper la quale viene intervistata da Leah e che qui vediamo in due brevi video.

La storia di Paulette ha marchiato pesantemente Scientology facendola conoscere al vasto pubblico come tra le più pericolose e vischiose sette al mondo dalla quale, una volta entrati a farne parte, è quasi impossibile uscirne se la manipolazione mentale che viene effettuata raggiunge un livello di irreversibilità. E la sua storia si può trovare in centinaia di post su tutta la rete che annovera anche tutti i minimi, molteplici particolari agghiaccianti ed illegali che Paulette ha ricevuto da Scientology e che si sono susseguiti incessantemente nel lungo periodo di tempo durato più di 10 anni.

Per non essere deceduta dopo tutto questo, Paulette sicuramente avrà avuto una buona stella lassù che l’ha protetta!!!

Non mi rimane che augurarvi una buona visione, e lo auguro specie all’avvocato di Scientology Daria Pesce la quale malgrado tutto continua a proteggere gli abusi della setta che lei rappresenta; coadiuvata dall’apologeta delle sette Massimo Introvigne del Censur il quale chissà quante subdole menzogne esposte elegantemente raggirando la verità, sarebbe capace di tirare fuori anche sul coso di Paulette pur di proteggere Scientology, esattamente come ha fatto con Lisa Mc Pherson, che è tutto dire e sulla quale non ci sono parole!!!

PAULETTE COOPER PARTE 1

PAULETTE COOPER PARTE 2

Paulette nel suo libro “Lo Scandalo di Scientology” scrive:

Nel 1968 ero una giornalista freelance di New York che cercava di farsi strada. Ero alla ricerca di un pezzo investigativo che avrebbe fatto la differenza. Scegliendo di denunciare una allora relativamente sconosciuta organizzazione di nome Scientology (e la sua compagna, cioè Dianetics) finii con il rischiare quindici anni di prigione, con il vedermi intentare ben diciannove cause legali, con l’essere sottoposta a cinquanta giorni di deposizioni, essere quasi vittima di un omicidio, l’oggetto di cinque lettere anonime diffamatorie e dover sopportare molestie costanti e continue per più di dodici anni. 

Tutto cominciò dopo avere scritto un articolo “The Scandal of Scientology” per la rivista inglese Queen. Avevo una laurea in psicologia e avevo studiato religione confrontata ad Harvard, e quello che appresi durante la mia ricerca sul gruppo fondato da L. Ron Hubbard era affascinante e tremendo nello stesso tempo. La storia sembrava voler  essere raccontata. Dopo la pubblicazione dell’articolo ricevetti una minaccia di morte, ma decisi comunque di scrivere un libro sull’argomento. Sapevo che gli scientologist non avrebbero apprezzato quello che avrei detto, ma ero sprovveduta e non potevo immaginare gli orrori che i due decenni che seguirono avevano riservato per me.

Il libro “The Scandal of Scientology” fu pubblicano nel 1971 da un piccolo editore, la Tower Publication. Dopo aver combattuto cinque cause legali intentate dalla Chiesa di Scientology contro l’editore, questi ritirò il libro con tante di scuse ufficialmente . Io però rifiutai di farmi mettere il bavaglio e così poco dopo le cause furono indirizzate a me, assieme a minacce di morte e a telefonate inverosimili e moleste. Perché erano molto preoccupati per quello che una giovane giornalista di New York aveva da dire? Chiaro. Fino a quel momento non era mai stato scritto alcun lavoro giornalistico investigativo su Scientology.

Non trascorse molto tempo che strani personaggi cercassero di entrare nel mio appartamento. In quello stesso periodo, nel seminterrato del mio condominio scoprii sulla mia linea telefonica alcuni morsetti, presumibilmente quello che rimaneva  delle intercettazioni telefoniche. Dopo, una mia cugina piccola come me, si trovava da sola a casa mia quando arrivò un uomo che doveva “consegnare fiori” per me. Quando aprì la porta, lo sconosciuto tirò fuori dal mazzo di fiori una pistola e la puntò alla tempia. Per fortuna l’arma si bloccò, oppure era scarica (ndt. conoscendo le losche tattiche di Scn, l’intenzione non era di ucciderla ma di spaventarla esageratamente, così come se è riuscita a svincolarsi malgrado fosse piccola e minuta significa che l’aggressore lo abbia concesso). L’uomo iniziò a strangolarla e quando lei riuscì a svincolarsi e urlare, fuggì. La polizia poi si sentì perplessa perché apparentemente non c’era un movente per l’aggressione.

Mi trasferii subito in un condominio con portiere. Poco tempo dopo circa 300 miei coinquilini ricevettero una anonima lettera diffamatoria su di me. Tra le varie cose mi si descriveva come fossi una prostituta part-time e che una volta avevo molestato sessualmente una bambina di due anni.

Qualche settimana più tardi, all’inizio del 1973, ricevetti una visita di un agente del FBI di nome Bruce Brotman, il quale mi disse che James Meisler, portavoce della Chiesa di Scientology di New York, sosteneva di avere ricevuto anonime minacce intimidatorie e aveva fatto il mio nome come probabile sospetto. E successivamente seppi (circa quelle minacce) che ero stata convocata da un gran giurì federale di New York.

Mettendo assieme tutti i guadagni del mio lavoro di freelance presi un avvocato e gli pagai un anticipo di 5000 dollari. Non mi sarei di certo immaginata che lo studio a cui conferii il mandato, diretto da Charles Stillman, alla fine mi avrebbe addebitato ben 28.000 dollari – e poi a fine caso mi fece causa per ottenerne altri!

Durante il processo davanti al gran giurì il pubblico ministero John D. Gordon III mi spiegò che rischiavo cinque anni di carcere per ognuna delle due lettere che sostenevano avessi inviato, più cinque anni se rilasciavo falsa testimonianza, oltre a 15.000 dollari di multa.

Poi Gordon sganciò la vera bomba. Dopo aver detto la verità, cioè dopo aver testimoniato sotto giuramento che non avevo mai toccato e non avevo addirittura mai visto le sconclusionate lettere che egli sottopose al gran giurì (datate 8 e 13 dicembre 1973), mi chiese: «E allora come mai su queste lettere ci sono le sue impronte digitali?».

Rimasi così scioccata che credo di aver perso momentaneamente i sensi, perché la stanza mi si ribaltò davanti. (Giustamente) gli spiegai che le minacce minatorie potevano essere state scritte su un mio foglio di carta intestata vuoto, che io avevo toccato, e che potevano essere state successivamente battute a macchina da qualcun altro. Ma Gordon non ne fu convinto. Il 9 maggio 1973 la Procura Generale degli Stati Uniti per il Distretto Meridionale di New York mi incriminò formalmente di tre capi di imputazione (due per l’invio delle lettere minatorie e uno per falsa testimonianza, in quanto avevo negato di averle inviate).

Dieci giorni dopo venni arrestata – cosa ancora più umiliante – rilasciata su cauzione e mi venne vietato di lasciare lo stato senza autorizzazione.

Entrai in uno stato di perenne paranoia. A malapena riuscivo a scrivere, e le bollette, in particolare le parcelle legali, continuavano ad impilarsi. Non riuscivo più a mangiare. Non riuscivo più a dormire. Fumavo quattro pacchetti di sigarette al giorno, ingoiavo Valium come fossero mentine e bevevo decisamente troppa vodka. Ero ossessionata soprattutto dalla prigione. Dalle multe. Dalla mia carriera. Fino a quel momento mi ero mossa dannatamente bene. A meno di 30 anni avevo pubblicato o stavo per pubblicare quattro libri: The Medical Detectives, un libro sulla medicina forense che oggi sarebbe probabilmente un best-seller; un libro per bambini e un libro sui portoricani a New York. Ma una volta che la storia del mio processo fosse stata resa pubblica, quale editore avrebbe dato incarichi a una scrittrice accusata di inviare lettere minatorie contro la gente su cui scriveva? Desideravo diventare scrittrice e giornalista fin da quando avevo otto anni e quando sembrò che la mia carriera fosse finita ne fui distrutta. Ero anche preoccupatissima per i miei genitori. Mi avevano adottato in un orfanotrofio belga quando avevo sei anni e avevo sempre cercato di renderli orgogliosi di me. Tuttavia temevo che presto sarebbero stati umiliati dalle accuse mossemi durante il processo.

La mia depressione si aggravò al punto che Bob Straus, l’avvocato che stavo per sposare, all’inizio dell’estate mi lasciò.

Il Dott. Roy Wallis, professore universitario e ricercatore scozzese, era venuto ad intervistarmi per il libro che stava scrivendo su Scientology. Prima di incontrarmi aveva intervistato L. Ron Hubbard Jr. Durante l’incontro che aveva avuto con lui, Junior gli aveva mostrato con vanto una lettera che aveva scritto al padre, L. Ron Hubbard Senior, poco prima della montatura ai miei danni. Gli aveva scritto che con un colpo solo avrebbe potuto «mettere in ginocchio il nemico».

Wallis, che prima di venirmi a trovare non era al corrente del mio imminente processo, consegnò quella ed altre lettere all’Ufficio della Procura, dove esisteva un dossier crescente sulla “Legge del Fair Game” di Scientology: vale a dire che un «nemico di Scientology» – come lo ero io ai loro occhi – «può essere danneggiato con ogni mezzo da ogni scientologist… può essere imbrogliato, querelato, gli si può mentire, può essere distrutto».

Nel luglio 1977 fui elettrizzata – e scioccata – alla notizia riportata in prima pagina dal Washington Post, dal Boston Globe e da altri quotidiani, che indicavano che la verità stava probabilmente per venire a galla.

L’FBI, dopo una soffiata interna, aveva fatto irruzione in tre diverse sedi di Scientology e aveva sequestrato appunti interni e documenti sui “giochi sporchi” del gruppo. Mi rallegrai all’idea che la verità – cioè la mia innocenza – sarebbe alla fine uscita. Ma dovetti aspettare altri quattro lunghi e frustranti anni (durante i quali litigai con diversi altri avvocati e investigatori privati privi di scrupoli che voglio ricordare) – prima di poter finalmente vedere quei documenti. Scientology aveva lottato con le unghie e con i denti per impedire che diventassero di pubblico dominio. Sapevano che a livello di immagine pubblica l’esito sarebbe stato devastante e avrebbe portato cause legali.

Ma la mia tenacia fu premiata. E quando finalmente analizzai quei documenti, come in seguito dissi a Mike Wallace di 60 Minutes, «Scientology risultò essere decisamente peggio di qualsiasi cosa avessi detto, o addirittura immaginato». I documenti sequestrati contenevano centinaia di colpi gobbi, montature e dettagli di infiltrazione, intercettazioni telefoniche e illegalità commesse dagli scientologist contro le agenzie governative (FBI, IRS eccetera) che li avevano fatti arrabbiare.

I documenti più bizzarri si riferivano alla “Operation Freakout” il cui scopo, dicevano, era di «fare rinchiudere P.C. [cioè io] in manicomio o in carcere, o almeno colpirla così pesantemente da farle cessare ogni attacco». Sembrava che dopo il primo tentativo fallito di incastrarmi per farmi tacere e mandarmi in galera, avessero complottato di nuovo per far sembrare che stavo di nuovo mandando minacce minatorie a Scientology e ad altri. Fanno ancora rabbrividire quelle missive del ’72, che dovevano essere spedite a Scientology, a Henry Kissinger e ad ambasciate arabe (poiché sono ebrea), ed anche a una lavanderia automatica! Pensate un po’. 

Altre pagine di quei documenti rivangavano tristi ricordi. C’era uno strano diario di ciò che avevo fatto durante il periodo in cui mi avevano incastrata, e di quanto fossi arrivata vicino al suicidio. «Non sarebbe una cosa grandiosa, per Scientology?» scriveva l’autore. E poi mi resi conto che l’autore non poteva essere stato altri che Jerry Levin. Era sicuramente uno scientologist, uno che si era appositamente infiltrato nella mia vita per spiarmi e aiutare Scientology a distruggermi. In quel periodo lui e le sue due amiche, Paula Tyler e una donna che diceva di chiamarsi Margie Shepherd (potrebbe essere Linda Kramer di Boston, che dopo il matrimonio è diventata Linda Kobern) andavano e venivano dal mio appartamento e avevano accesso alla carta da lettere su cui qualcuno poteva aver preso le mie impronte digitali, e poi avervi dattiloscritto le minacce.

Verso la fine del decennio un gran giurì di New York indagò per tre anni sul complotto ordito ai miei danni. Nonostante collaborassi con l’FBI, il caso non portò a nulla perché gli scientologist rifiutarono risolutamente di parlare. In modo assai bizzarro si appellarono al Primo – e non al Quinto – Emendamento, invocando la libertà di religione. Lo scientologist Charles Batdorf venne incarcerato per essersi rifiutato di parlare della montatura contro di me. Ma un gran giurì (e un processo) tenutosi contemporaneamente a Washington, DC alla fine emise sentenze di condanna e carcerazione per undici scientologist coinvolti in intercettazioni telefoniche, infiltrazione e furto di documenti del governo. Alcuni dei condannati erano anche stati coinvolti nelle congiure e nelle azioni contro di me.

Nel 1981 iniziai la mia causa legale contro Scientology, sia per avermi incastrata che per gli anni di molestie che avevo dovuto subire. Nel 1985 io e Scientology raggiungemmo un accordo “amichevole” per tutte le cause. Era stato messo a punto dal brillante avvocato newyorkese Albert Podell. Grazie a lui riallacciai anche i rapporti con Paul Noble, produttore televisivo di New York, con cui avevo avuto una breve relazione a vent’anni, molto prima che tutto questo accadesse. Io e Paul siamo ormai felicemente sposati da diciannove anni.

Sfortunatamente, a volte paghiamo un prezzo terribile.

Paulette Cooper

Renata Fruscella Lugli